Il quadro è conosciuto con il titolo di “la caduta di Icaro”, opera di Brugel, conservato al Museo Reale di Belle arti in Belgio.
Per trovare Icaro bisogna osservare bene, prima di scorgere, in fondo verso l’angolo destro, due gambe ed una mano appartenenti ad un giovane corpo che sta annaspando in un tratto di mare su cui svolazzano le piume appartenute alle sue ali.
Il mito è noto: Icaro, figlio di Dedalo, famoso architetto ed inventore, stava fuggendo con il padre dall’isola di Creta con ali costruite di piume tenute insieme da cera. Ignorò l’avvertimento del padre, si avvicinò troppo al sole e la cera si sciolse. Così Icaro annegò è così lo dipinge Brugel. Icaro annega e tutti sembrano ignorare il suo dramma, tranne un animale, una specie di grosso pollastro che osserva la scena compiaciuto: si tratta di una starna o pernice grigia.
Ma cosa ci fa una pernice nel quadro di Brugel?
Brugel racconta un mito, ripreso dalle Metamorfosi di Ovidio. Conosciamo Dedalo per essere stato uno straordinario architetto ed inventore. Fu suo il Labirinto, ancora oggi chiamato con un sinonimo che è il nome del suo inventore, dedalo. Ma a pochi è noto che Dedalo non era un uomo di gran morale. Ovidio ci racconta che sua sorella gli affidò il figlio dodicenne, affinché lo istruisse, diremmo oggi che aveva mandato il ragazzo “a bottega” . Il ragazzo, chiamato Calo o Talo, ma conosciuto come Perdice, era molto talentuoso: si dice che osservando la lisca di un pesce avesse inventato la sega, poi aveva unito due asticelle di legno, cosicché una stando ferma e l’altra muovendosi, tracciava un cerchio, praticamente il compasso. Lo zio Dedalo, invece di sostenere il fanciullo, ne divenne geloso e un giorno, passeggiando vicino alla rupe di Atene, lo spinse giù, fingendo un incidente. Atena, dea protettrice degli uomini di ingegno, si accorse del gesto e trasformò il giovane in un uccello prima che potesse raggiungere il suolo. La pernice, appunto, in latino Perdix.
Ma gli ateniesi non erano convinti dell’incidente e mandarono Dedalo a processo. Le cose si mettevano male per lui, così fuggì e riparò a Creta, alla corte del re Minosse. Il quale aveva una moglie, Pasifae che si era innamorata di un toro (strani gusti). Per consentire a Pasifae di incontrare il toro, Dedalo costruì una giovenca in legno. Dall’unione tra Pasifae e il toro nacque il Minotauro, il quale oltre ad essere mostruoso, amava cibarsi di carne umana, fresca. Per impedirgli di sbranare chiunque incontrasse, il re Minosse chiese a Dedalo di costruire per il Minotauro una casa che lo lasciasse libero di muoversi, ma gli impedisse anche di nuocere agli altri. Fu così che Dedalo inventò il labirinto, e fu così che duemila anni dopo, stuoli di psicologi e psicoanalisti versassero fiumi di inchiostro sul significato del labirinto, sulla psiche e sugli istinti bestiali del Minotauro, prigioniero della sua mente malata oltre che del labirinto.
Ma il re Minosse sapeva che Dedalo non era uno “stinco di santo”. Per impedirgli di andare a vendere le sue capacità a qualche nemico, gli impedì di lasciare l’isola e per non farlo sentire troppo solo, mandò a prendere suo figlio. Ma Dedalo voleva essere grande e libero, così concepì la rocambolesca fuga che costò la vita al figlio.
Tanto diversi erano i due cugini: Icaro smanioso di andare in alto, tanto da bruciarsi le ali, Perdice, la pernice, invece volava basso. Ovidio ci dice che ciò era legato al ricordo di essere caduto da umano, dalla rupe, tuttavia il volare basso era una caratteristica del giovane Perdice anche prima di diventare “la pernice”: a lui piaceva studiare e applicare la scienza, non cercava la fama, non desiderava stare in alto.
Brugel ci ricorda tutto questo con una semplice immagine che pone la pernice in diretto raffronto con Icaro: Icaro annega a causa della sua stessa arroganza, mentre la pernice osserva la scena compiaciuta.
Dice ancora Ovidio, che quando Dedalo tumulò il figlio Icaro, si udì un uccello trillare di gioia: la pernice.