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mercoledì 1 giugno 2022

Vita sull’Arno

 L’Alzaia di Telemaco Signorini.





Il quadro, piuttosto imponente, cm 54 x 173,  si trova in una collezione privata ed è raramente esposto al pubblico.

Ritrae alcuni uomini sulla riva dell’Arno mentre trascinano un peso insopportabile, il loro passo è lento e affaticato, la corda che trascina il peso affonda nelle loro carni. Sulla sinistra un signore ben vestito e una bambina, guardano qualcosa altrove, ingnorando la fatica bestiale degli uomini; in mezzo a loro quasi a dividere le due realtà, un cane nero e piccolo abbaia a qualcosa di invisibile.

L’Alzaia

Il quadro è conosciuto come “L’Alzaia”. Protagonista nascosta della scena è una chiatta, una grossa imbarcazione che gli uomini, chiamati “bardotti”, denominazione simile a quella degli animali da tiro parenti dei muli, trascinano sulle rive del fiume Arno. L’Alzaia è la corda che serve a trainare la barca, ma anche il sentiero che i bardotti percorrono e che, secondo editti dell’epoca, doveva essere mantenuto sempre libero da ogni ostacolo, soprattutto dalla vegetazione per consentire il traino delle imbarcazioni lungo il fiume. L’operazione serviva tanto a tirare in secca le imbarcazioni, chiamate navicelli, per eseguirne la manutenzione, quanto e più spesso, per  superare ostacoli nella navigazione costituiti da banchi di sabbia, specialmente quando, durante la stagione più calda, il livello del fiume scendeva.

Scene di ordinaria vita fluviale quando l’Arno faceva parte di un sistema di idrovie e quando sulle sue rive ben pulite e curate fiorivano molte attività e commerci che incrementavano l’economia della città di Firenze, prima che uno stuolo di pseudo-ambientalisti si ostinasse a propagandare quella rinaturalizzazione delle rive del fiume che oggi molto assomiglia ad un degradato stato di abbandono.

La scena si svolge vicino alle Cascine, sullo sfondo si intravede uno dei ponti sull’Arno, curiosamente simile all’attuale Ponte all’Indiano, troppo recente per essere stato davvero dipinto da Telemaco Signorini.




L’autore

Telemaco Signorini era nato a Firenze nel 1835 e qui vi morì nel 1901. Figlio d’arte, il padre Giovanni era infatti un famoso vedutista del Granducato toscano, fu un acclamato esponente del movimento “macchiaiolo”.

Il quadro è stato dipinto nel 1864, quando Telemaco era quasi trentenne e già un riconosciuto artista. Dominano i colori bianchi, i verdi e l’ocra   su una stessa scala tonale che sottolinea la drammaticità della scena. Il cielo estivo azzurrino e libero da nubi,  esalta le figure in primo piano che sembrano emergere come fossero scolpite. Uno degli uomini sembra rivolto verso l’osservatore e quindi verso di noi quasi a voler richiamare l’attenzione sullo sforzo fisico.

Molto si è detto su quest’opera come un manifesto di denuncia politica da parte dell’autore per lo sfruttamento di questi poveri lavoratori, una sorta di “quarto stato”  del Signorini.

C’è da dire che questa presunta denuncia politica è probabilmente estranea all’intenzione dell’autore: infatti all’epoca tutto ciò che si muoveva sull’Arno era di proprietà degli stessi barcaioli, quindi non c’era né sfruttamento, né schiavizzazione. I bardotti erano aiutanti del proprietario e spesso suoi familiari stretti. 

Non si vuole negare la fatica umana del traino con l’alzaia, ma ridimensionare il suo inquadramento ideologizzato. L’autore non voleva denunciare alcunché,  si è semplicemente limitato a registrare e a descrivere una delle tante scene di lavoro allora osservabili sull’Arno, così comuni da non destare attrazione, come pare voler significare l’uomo sulla sinistra, rivolto altrove. 










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