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giovedì 23 settembre 2021

Macellerie e vangeli

 Il dipinto è conosciuto come “macelleria e fuga in Egitto” o “macelleria e Sacra Famiglia” ed è opera di Pieter Aertsen,  pittore fiammingo nato ad Amsterdam  e vissuto ad Anversa tra il 1508 ed il 1575. 

Ne esistono quattro versioni, una delle quali è conservata al North Carolina Museum of Arts a Raleigh negli Stati Uniti, testimonianza di come l’opera fosse molto popolare all’epoca.




Il quadro mostra una scena molto articolata; in primo piano il banco di una macelleria dove appaiono cibi di ogni tipo: una testa di vitello mozzata guarda lo spettatore (particolare piuttosto raccapricciante anche per chi non è vegetariano); e poi salsicce appese bianche e stagionate, pesci affumicati e freschi (richiamo forse alla Passione), formaggi, zampucci di maiale, formaggio fresco, burro, un prosciutto, polli, la mezza carcassa di un vitello e sopra, all’estrema sinistra si vedono appesi anche dei pratzel, tipici pani dei paesi nordici.

L’autore

Pieter Aertsen era un pittore vissuto in Olanda nel 1500, molto noto per i dipinti che riproducono scenari domestici. Visse e lavorò ad Anversa anche se viaggiò in Italia dove probabilmente entrò in contatto con i Bassano, noti per il genere “pastorale”.

Il suo punto forte erano le nature morte tanto da essere identificato come uno degli “inventori” di questo tema pittorico; nei suoi quadri le nature morte sono il protagonista principale rispetto a scene bibliche o pastorali che stanno invece sullo sfondo, come nel quadro della macelleria. Di lui si sono conservate poche opere; molte furono infatti fatte a pezzi durante le furie iconoclaste delle lotte dei protestanti contro i cattolici.

Lo sfondo

Sullo sfondo del quadro si intravede un paesaggio, forse la stessa Anversa, più avanti la Sacra Famiglia in fuga verso l’Egitto: Maria con il bambino in braccio è seduta sull’asino condotto da Giuseppe ed elargisce elemosine alla popolazione vestita con gli abiti fiamminghi dell’epoca. Un chiaro messaggio alla morigeratezza dei costumi: mentre in primo piano si mostrano cibi ricchi ed opulenti,  Maria, anche se in fuga,  fa elemosina del poco che ha alla gente che incontra per la strada.




A destra si intravede una taverna con una serie di personaggi intenti a festeggiare davanti ad un camino. Hanno consumato cozze ed ostriche ed i gusci sono tutti sparsi sul pavimento, un evidente richiamo alla lussuria. Probabilmente la scena dipinta rinvia alla parabola evangelica del Figliol prodigo. Una carcassa appena macellata di maiale è appesa davanti alla locanda e di fronte agli avventori, un uomo versa acqua in un contenitore. È il macellaio e lo sappiamo perché indossa la tunica rossa tipica della potente Gilda (la corporazione) dei macellai cittadini, tanto potente da riuscire ad imporre una legge per cui la carne poteva essere acquistata solo presso il loro mercato, almeno fino al 1551, anno in cui fu dipinto il quadro e quando i macellai di provincia si consorziarono per combattere quello che ai loro occhi sembrava, ed in effetti era, un monopolio.






Un particolare

Ma un particolare curioso attira l’occhio dell’osservatore. Si tratta di un cartiglio a destra sul tetto della macelleria che ha una scritta in fiammingo la cui traduzione  è: “qui dietro ci sono 154 verghe di terra prontamente disponibili per la vendita, sia in singolo appezzamento secondo le vostre necessità, sia tutta insieme”. Si è pensato che questo alludesse ad un richiamo moralistico, viste le scene bibliche dello sfondo, a non lasciar inaridire l’animo dalla brama di possesso di beni materiali.



In realtà il pittore ha voluto forse ricordare le controversie terriere sorte nel 1551, data del quadro, ad Anversa. La città si stava espandendo e quindi uno dei principali conventi cittadini delle suore agostiniane fu costretto a cedere le terre sottocosto. Ma si creò una forte offerta di terra ed  i terreni in surplus vennero ceduti ad uno speculatore olandese molto impopolare; ciò scatenò dei disordini che costrinsero addirittura le truppe imperiali ad intervenire.

Sotto questa luce il quadro di Aertsen è un messaggio a non lasciarsi troppo abbindolare dalle facili ricchezze divenute largamente accessibili  a causa dei profondi cambiamenti sociali che la comunità stava vivendo.

sabato 18 settembre 2021

Sandro e Simonetta

 Ritratto di giovane donna, opera di Sandro Botticelli, conservato allo Städel Museum di Francoforte, dipinto tra il 1480 ed il 1485.




In molti vi hanno visto il ritratto di Simonetta Vespucci, bella quanto sfortunata fanciulla coeva di Botticelli.

Chi era Simonetta

Simonetta Cattaneo era nata a Genova nel 1453. La famiglia era imparentata con gli Appiani di Piombino ed è qui che incontra la famiglia Vespucci ed il loro figlio Marco, discendenti di quel Vespucci Amerigo che scoprì l’America.


Si sposarono quando lei aveva 16 anni;  i Vespucci erano banchieri, amici dei Medici tant’é che per festeggiare questo matrimonio i Medici organizzarono dei festeggiamenti nella loro Villa di Careggi.
Durante un torneo tenutosi in Santa Croce nel 1475, Giuliano dei Medici le dedicò una vittoria e lei gli consegnò lo stendardo, pare dipinto dal Botticelli, che secondo la cronaca recava la scritta “la senza pari”. Lo stendardo è andato perduto, ma questa cronaca alimentò la leggenda che Simonetta e Giuliano dei Medici fossero amanti. La dedica è piuttosto da ricondurre alle usanze cavalleresche dell’epoca dell’amor cortese per cui i cavalieri  erano soliti dedicare la vittoria ad una dama e Simonetta, bella, nobile, gentile, incarnava quell’ideale di dama del Dolce Stil Novo cantata in tutti i poemi cavallereschi.
Appena un anno dopo, a soli 23 anni, Simonetta morì nella casa degli Appiani di Piombino dove si trovava per alleviare i sintomi di una malattia polmonare, forse tisi. Non si hanno notizie di figli nei 7 anni di matrimonio col Vespucci, circostanza anomala per un epoca in cui uno dei principali obiettivi del matrimonio era quello di assicurare eredi.
Le cronache ci dicono che nelle esequie, tenutesi a Firenze, venne portata in corteo a bara scoperta, evento riservato alle più alte cariche politiche e religiose. E che neanche la morte aveva potuto scalfire la sua bellezza, come ci dice Lorenzo dei Medici nei suoi sonetti. Ciò contribuì non poco ad alimentare la suggestione popolare. Venne sepolta nella chiesa di Ognissanti, ma la sua tomba oggi non esiste più: fu portata via da  una piena dell’Arno.
Giuliano dei Medici morì due anni dopo, nel 1478, ucciso durante la congiura dei Pazzi.

Botticelli

Alessandro di Mariano di Vanni di Filipepi era conosciuto alla maniera toscana come Sandro, detto il Botticelli, non perché era basso e tarchiato come dice qualche detrattore, ma perché era batti-augello, battitore di argento e oro ossia cesellatore, come suo padre e i suoi fratelli. Che si intendesse di cesellatura è chiaro se osserviamo la finezza e la grazia con cui dipinge in oro le aureole delle sue madonne.
Si dice che Botticelli sia rimasto talmente affascinato da Simonetta da averla ritratta praticamente in tutte le sue opere, che ne fosse realmente innamorato (qualcuno con tendenze alla soap-opera si spinge a dire che fosse anche lui amante di Simonetta) e che alla fine si sia fatto seppellire anche lui ad Ognissanti per amore di Simonetta.
Più realisticamente si sa che i Filipepi erano vicini di casa dei Vespucci, che furono anche committenti di molte opere di Botticelli,  naturale quindi che venissero sepolti nella stessa chiesa. È comunque possibile che Sandro, suo vicino di casa, avesse ritratto Simonetta in alcune occasioni mentre lei stava nel giardino a leggere o ricamare, ma è del tutto improbabile che le avesse fatto da modella: Simonetta era una nobildonna, sposata con un ricco banchiere, mentre il mestiere di modella era riservato a donne di dubbia moralità.
In più,  molte delle opere botticelliane in cui si vuole intravedere il volto di Simonetta, furono dipinte quando lei era già morta.
La nascita di Venere fu dipinta nel 1485, a ben 9 anni dalla morte.

Anche la Primavera, è postuma, del 1477.  Molti hanno romanzato che Simonetta sia riconoscibile, oltre che  in una  delle Grazie, anche nel volto di Flora. Che tuttavia, osservandola da vicino, rivela un volto precocemente invecchiato, segnato da rughe di espressione ed un collo prominente, gozzoide: se di lei si tratta, Botticelli deve aver recuperato un disegno di poco prima che morisse, dove sono evidenti i sintomi della consunzione.



Tuttavia, lo stesso volto, come rinvigorito è ringiovanito, lo troviamo  in “Pallade ed il centauro” del 1482:

Ed in tutte le sue opere, come la Madonna del magnificat del 1485 (notare la fine cesellatura della corona che gli angeli posano sul capo di Maria):


Che sia il volto di Simonetta è pura leggenda, non si hanno suoi ritratti certi e quindi non se ne conoscono le fattezze. Piuttosto, si può dire che l’intento di Botticelli fosse quello di rappresentare un canone ideale di bellezza femminile, e dobbiamo dire che l’obiettivo è stato raggiunto, e perfezionato nel tempo.
La Fortezza, rappresentata dal volto di una fanciulla che regge un bastone seduta su un trono, è stata dipinta nel 1470, quando Simonetta aveva 17 anni ed aveva appena sposato Marco Vespucci. A ben osservare potrebbe essere il volto giovanissimo di quella donna più matura che sarà poi Flora nella Primavera e di quel volto idealizzato nella bellezza eterna che sarà la Venere e tutte le donne dei quadri successivi del Botticelli.
 Il mistero pertanto rimane.


mercoledì 15 settembre 2021

La caccia di Brugel

 Il dipinto è conosciuto con il titolo di “cacciatori nella neve” o caccia infruttuosa e si trova al Kunstinstoriches Museum di Vienna.



In un paesaggio innevato fino al mare che si intravede in lontananza, si nota in primo piano un gruppo di uomini seguito da molti cani, che rientra da una battuta di caccia di scarso successo: l’unica preda catturata è infatti una volpe appesa alla schiena di uno dei cacciatori. Sulla neve, di fronte al gruppo, si scorgono le orme di un coniglio selvatico che, evidentemente, è sfuggito alla cattura.

In secondo piano a sinistra si  vede l’insegna della locanda “il cervo” davanti alla quale un gruppo di persone si appresta alla macellazione del maiale. L’animale non è visibile, ma si intuisce cosa accadrà dal fuoco acceso per la strinatura e dal mastello utilizzato per questo tipo di macellazione.


In lontananza si scorgono altri personaggi che giocano su un lago ghiacciato: chi pattina, chi ha in mano una mazza stile hockey, chi gioca ad una specie di carling, qualcuno è caduto.

Il quadro è firmato “Brugel 1565”. 



L’autore

Il quadro è opera di Pieter Brugel il Vecchio, così chiamato per distinguerlo da altri Brugel, fratelli e figli, anche loro pittori.
Non si conosce con precisione l’anno di nascita di Brugel. Lo si trova citato in un documento della corporazione di San Luca, quella dei pittori, nel 1551 quindi possiamo supporre che sia nato una ventina di anni prima.
Si formò ad Anversa studiando le opere di Bosh, altro pittore fiammingo, viaggiò in Italia e morì nel 1569, data certa, segnata sulla lapide.
La sua pittura risente delle influenze grafiche dei suoi maestri, i suoi personaggi sono spesso goffi e caricaturali, una umanità viziosa, quasi fumettista, appartenente al mondo contadino che viene descritto nel compimento delle attività quotidiane.

Il paesaggio

I colori dominanti nel quadro sono il bruno ed il bianco; tutto evoca un inverno molto rigido. Sullo sfondo si notano dei particolari curiosi che Brugel aveva importato dal suo viaggio in Italia e che sono del tutto assenti nel paesaggio fiammingo: ad esempio, il campanile a guglia e le vette innevate che ricordano molto le nostre Alpi.




In cielo volano delle gazze e alcuni corvi sono posati sui rami degli alberi innevati, uccelli tutti associati al demonio: nella descrizione delle quotidiane attività dei contadini non sfugge il senso di pesantezza e difficoltà sottolineato dall’insuccesso dei cacciatori e dalla rigidità del clima.
Brugel descrive infatti uno degli inverni più rigidi della storia moderna: prima che il riscaldamento globale diventasse una triste costante, il nostro emisfero attraversò un periodo di circa cento anni, che va dalla metà del 1400 fino al 1570 , conosciuto come “piccola glaciazione”. Si tratta di un periodo molto breve rispetto alle ere glaciali che durarono milioni di anni, in cui comunque si registrarono, in tutte le stagioni, temperature molto più basse della media.
Il fenomeno sembra essere collegato ad una ridotta attività solare; da alcuni documenti storici si sa che nell’inverno del 1565, anche il Tamigi ghiacciò e rimase ghiacciato per diverse settimane, fenomeno alquanto inconsueto per l’epoca.




mercoledì 1 settembre 2021

Il giallo delle dame di Carpaccio

 Il dipinto è un olio su tavola a suo tempo parte della collezione Correr ed oggi visibile nel museo che porta il suo nome, a Venezia.


Si vedono due dame con la tipica acconciatura della Venezia dell’epoca, dai capelli biondi, il cosiddetto biondo veneziano ottenuto con decoloranti naturali e bagni di sole. Le due donne guardano altrove, una tiene in mano, stancamente, un fazzoletto bianco, l’altra gioca con due cani, sotto la loggia si vede un paggetto, un pavone, più avanti un pappagallo.

Davanti al pavone si vedono due calcagnini, tipiche calzature con la zeppa indossate dalle donne veneziane, che furono poi abolite perché si riteneva che facilitassero gli aborti (di certo agevolavano le cadute) e che furono poi riscoperte da Salvatore Ferragamo nel 1940.

Il levriero in primo piano tiene tra le zampe un cartiglio che dice che l’autore è Vittore Carpaccio, pittore veneto vissuto tra il 1465 circa e il 1525, famoso per i teleri, ossia grosse tele che gli venivano commissionate da conventi e chiese come quello di Sant’Orsola, ma che lavorava anche per privati.

Il famoso critico Ruskin nell’ottocento lo definì il più bel quadro del mondo e per molto tempo le due donne sono state etichettate come due cortigiane. Ma ci vuol poco a capire che il quadro è parte di qualcosa di più grande: al levriero in basso manca tutto il corpo, il vaso sulla loggia ha un fiore all’interno di cui si vede solo parte dello stelo.

La parte mancante

Una delle parti mancante si trova oggi al Getty Museum ed è conosciuto come caccia in laguna.
E anche qui era chiaro che era parte di qualcos’altro perché c’è un giglio in primo piano completamente fuori scala.
Il frammento venne rinvenuto da un giovane architetto in un negozio di rigattiere di Roma e, dopo varie vicissitudini, pervenne al Getty, dove oggi si trova. I segni di cerniere sui lati fanno pensare che si trattasse di un’anta di un mobile o forse una porta. La parte di sinistra finora non è stata ritrovata e forse è andata persa per sempre.
Nel 1999 i due frammenti sono stati esposti riuniti insieme a Palazzo Grassi,


Così le due cortigiane diventano due dame e il primo frammento acquista tutto un altro significato: due nobildonne forse appartenenti al casato il cui stemma è dipinto sul vaso, ingannano il tempo con svaghi fra cani ed altri animali, mentre i loro uomini sono a caccia in laguna. Il giglio, il mirto nel vaso di destra, le perle indossate dalle due donne, sono tutti riferimenti simbolici al matrimonio e alla lealtà coniugale. Le due dame vengono così riabilitate.

Ma gli uomini che stanno facendo?

Stanno cacciando, è indubbio. Ma non hanno frecce agli archi e su ogni barca c’è un uccello.
Si è detto che gli uomini sono a caccia di smergi, anatre selvatiche. Su una prua della barca si vedono infatti due sagome identificabili come due uccelli

Ma forse la caccia alle anatre non è il loro obiettivo.
Qualcuno ha detto che cacciano cormorani, perché tutti gli uccelli in azione e quelli sulle barche, sono cormorani, ma a parte il fatto che i cormorani sono inedibili, non si spiega perché cacciarli quando ce li hanno a portata di mano sulla barca.
Forse cacciano con i cormorani. La caccia con il cormorano era praticata in Cina ed in alcuni paesi lo è ancora oggi, ma con un sistema diverso: gli uccelli erano legati con spaghi per impedirne la fuga e per costringerli a rilasciare il pesce pescato.
Ma nel quadro del Carpaccio non si vedono spaghi, quindi si è detto che i cormorani venivano costretti a lasciare il pesce colpendoli con palline di terracotta. Se ne vede una vicino al becco del cormorano in primo piano.




Ma anche questa ipotesi è difficilmente sostenibile: le palline di terracotta venivano utilizzate per cacciare uccelli di cui si voleva lasciare integro il piumaggio e abbiamo detto che qui, le vittime non sono i cormorani.
La pallina vicino la becco del cormorano non è per aria, ma galleggia, quindi non è di terracotta. È molto probabile che si tratti di una ricompensa da fornire al cormorano per impedirgli di ingoiare il pesce. Ma pesci pescati non se ne vedono; il mistero quindi rimane, ma sotto questa prospettiva, l’annoiato  attendere delle due donne acquista tutt’altro significato.

La pernice di Brugel

 Il quadro è conosciuto con il titolo di “la caduta di Icaro”, opera di Brugel , conservato al Museo Reale di Belle arti in Belgio. Per trov...