Cerca nel blog

mercoledì 15 settembre 2021

La caccia di Brugel

 Il dipinto è conosciuto con il titolo di “cacciatori nella neve” o caccia infruttuosa e si trova al Kunstinstoriches Museum di Vienna.



In un paesaggio innevato fino al mare che si intravede in lontananza, si nota in primo piano un gruppo di uomini seguito da molti cani, che rientra da una battuta di caccia di scarso successo: l’unica preda catturata è infatti una volpe appesa alla schiena di uno dei cacciatori. Sulla neve, di fronte al gruppo, si scorgono le orme di un coniglio selvatico che, evidentemente, è sfuggito alla cattura.

In secondo piano a sinistra si  vede l’insegna della locanda “il cervo” davanti alla quale un gruppo di persone si appresta alla macellazione del maiale. L’animale non è visibile, ma si intuisce cosa accadrà dal fuoco acceso per la strinatura e dal mastello utilizzato per questo tipo di macellazione.


In lontananza si scorgono altri personaggi che giocano su un lago ghiacciato: chi pattina, chi ha in mano una mazza stile hockey, chi gioca ad una specie di carling, qualcuno è caduto.

Il quadro è firmato “Brugel 1565”. 



L’autore

Il quadro è opera di Pieter Brugel il Vecchio, così chiamato per distinguerlo da altri Brugel, fratelli e figli, anche loro pittori.
Non si conosce con precisione l’anno di nascita di Brugel. Lo si trova citato in un documento della corporazione di San Luca, quella dei pittori, nel 1551 quindi possiamo supporre che sia nato una ventina di anni prima.
Si formò ad Anversa studiando le opere di Bosh, altro pittore fiammingo, viaggiò in Italia e morì nel 1569, data certa, segnata sulla lapide.
La sua pittura risente delle influenze grafiche dei suoi maestri, i suoi personaggi sono spesso goffi e caricaturali, una umanità viziosa, quasi fumettista, appartenente al mondo contadino che viene descritto nel compimento delle attività quotidiane.

Il paesaggio

I colori dominanti nel quadro sono il bruno ed il bianco; tutto evoca un inverno molto rigido. Sullo sfondo si notano dei particolari curiosi che Brugel aveva importato dal suo viaggio in Italia e che sono del tutto assenti nel paesaggio fiammingo: ad esempio, il campanile a guglia e le vette innevate che ricordano molto le nostre Alpi.




In cielo volano delle gazze e alcuni corvi sono posati sui rami degli alberi innevati, uccelli tutti associati al demonio: nella descrizione delle quotidiane attività dei contadini non sfugge il senso di pesantezza e difficoltà sottolineato dall’insuccesso dei cacciatori e dalla rigidità del clima.
Brugel descrive infatti uno degli inverni più rigidi della storia moderna: prima che il riscaldamento globale diventasse una triste costante, il nostro emisfero attraversò un periodo di circa cento anni, che va dalla metà del 1400 fino al 1570 , conosciuto come “piccola glaciazione”. Si tratta di un periodo molto breve rispetto alle ere glaciali che durarono milioni di anni, in cui comunque si registrarono, in tutte le stagioni, temperature molto più basse della media.
Il fenomeno sembra essere collegato ad una ridotta attività solare; da alcuni documenti storici si sa che nell’inverno del 1565, anche il Tamigi ghiacciò e rimase ghiacciato per diverse settimane, fenomeno alquanto inconsueto per l’epoca.




mercoledì 1 settembre 2021

Il giallo delle dame di Carpaccio

 Il dipinto è un olio su tavola a suo tempo parte della collezione Correr ed oggi visibile nel museo che porta il suo nome, a Venezia.


Si vedono due dame con la tipica acconciatura della Venezia dell’epoca, dai capelli biondi, il cosiddetto biondo veneziano ottenuto con decoloranti naturali e bagni di sole. Le due donne guardano altrove, una tiene in mano, stancamente, un fazzoletto bianco, l’altra gioca con due cani, sotto la loggia si vede un paggetto, un pavone, più avanti un pappagallo.

Davanti al pavone si vedono due calcagnini, tipiche calzature con la zeppa indossate dalle donne veneziane, che furono poi abolite perché si riteneva che facilitassero gli aborti (di certo agevolavano le cadute) e che furono poi riscoperte da Salvatore Ferragamo nel 1940.

Il levriero in primo piano tiene tra le zampe un cartiglio che dice che l’autore è Vittore Carpaccio, pittore veneto vissuto tra il 1465 circa e il 1525, famoso per i teleri, ossia grosse tele che gli venivano commissionate da conventi e chiese come quello di Sant’Orsola, ma che lavorava anche per privati.

Il famoso critico Ruskin nell’ottocento lo definì il più bel quadro del mondo e per molto tempo le due donne sono state etichettate come due cortigiane. Ma ci vuol poco a capire che il quadro è parte di qualcosa di più grande: al levriero in basso manca tutto il corpo, il vaso sulla loggia ha un fiore all’interno di cui si vede solo parte dello stelo.

La parte mancante

Una delle parti mancante si trova oggi al Getty Museum ed è conosciuto come caccia in laguna.
E anche qui era chiaro che era parte di qualcos’altro perché c’è un giglio in primo piano completamente fuori scala.
Il frammento venne rinvenuto da un giovane architetto in un negozio di rigattiere di Roma e, dopo varie vicissitudini, pervenne al Getty, dove oggi si trova. I segni di cerniere sui lati fanno pensare che si trattasse di un’anta di un mobile o forse una porta. La parte di sinistra finora non è stata ritrovata e forse è andata persa per sempre.
Nel 1999 i due frammenti sono stati esposti riuniti insieme a Palazzo Grassi,


Così le due cortigiane diventano due dame e il primo frammento acquista tutto un altro significato: due nobildonne forse appartenenti al casato il cui stemma è dipinto sul vaso, ingannano il tempo con svaghi fra cani ed altri animali, mentre i loro uomini sono a caccia in laguna. Il giglio, il mirto nel vaso di destra, le perle indossate dalle due donne, sono tutti riferimenti simbolici al matrimonio e alla lealtà coniugale. Le due dame vengono così riabilitate.

Ma gli uomini che stanno facendo?

Stanno cacciando, è indubbio. Ma non hanno frecce agli archi e su ogni barca c’è un uccello.
Si è detto che gli uomini sono a caccia di smergi, anatre selvatiche. Su una prua della barca si vedono infatti due sagome identificabili come due uccelli

Ma forse la caccia alle anatre non è il loro obiettivo.
Qualcuno ha detto che cacciano cormorani, perché tutti gli uccelli in azione e quelli sulle barche, sono cormorani, ma a parte il fatto che i cormorani sono inedibili, non si spiega perché cacciarli quando ce li hanno a portata di mano sulla barca.
Forse cacciano con i cormorani. La caccia con il cormorano era praticata in Cina ed in alcuni paesi lo è ancora oggi, ma con un sistema diverso: gli uccelli erano legati con spaghi per impedirne la fuga e per costringerli a rilasciare il pesce pescato.
Ma nel quadro del Carpaccio non si vedono spaghi, quindi si è detto che i cormorani venivano costretti a lasciare il pesce colpendoli con palline di terracotta. Se ne vede una vicino al becco del cormorano in primo piano.




Ma anche questa ipotesi è difficilmente sostenibile: le palline di terracotta venivano utilizzate per cacciare uccelli di cui si voleva lasciare integro il piumaggio e abbiamo detto che qui, le vittime non sono i cormorani.
La pallina vicino la becco del cormorano non è per aria, ma galleggia, quindi non è di terracotta. È molto probabile che si tratti di una ricompensa da fornire al cormorano per impedirgli di ingoiare il pesce. Ma pesci pescati non se ne vedono; il mistero quindi rimane, ma sotto questa prospettiva, l’annoiato  attendere delle due donne acquista tutt’altro significato.

sabato 28 agosto 2021

Margerete Van Eyck

 Il piccolo ritratto della moglie di Van Eyck, misura appena 32 cm x 26, è un olio su tavola e si trova a Bruges, al Groeningen Museum. Fu dipinto da Van Eyck nel 1439.

Van Eyck sposò Margerete nel 1432; nel 1434 nacque il loro primo figlio, nel 1439 Van Eyck mori, a circa 50 anni; difatti non si conosce la data di nascita precisa che potrebbe collocarsi tra il 1390 e il 1393.



Il quadro

Margerete è ritratta di tre quarti, rivolta verso l’osservatore. Per esaltare la testa nel piccolo spazio della tavola, il pittore ha rimpiccolito il corpo, esagerando le proporzioni. La donna ha una acconciatura molto di moda all’epoca, detta a escoffion con due piccoli corni laterali sostenuti da una struttura di osso. Sull’acconciatura è appoggiato un panno con ben sette strati di plissettatura, un segno di raffinatezza. Margerete indossa un abito rosso bordato di pelliccia, forse di scoiattolo, come si usava allora. L’abito e l’acconciatura ne detonano una certa agiatezza e l’appartenenza a qualche famiglia della piccola nobiltà di Bruges. Per molto tempo il ritratto è stato esposto nella cappella della Gilda dei pittori di Bruges.

Chi è Margerete?

La donna rivela un certo strabismo e un marcato gozzo, segno di una malattia tiroidea piuttosto pronunciata.

La sua somiglianza con il ritratto di uomo con il turbante rosso, che da molti viene ritenuto un autoritratto di Van Eyck, è notevole. Van Eyck aveva anche una sorella di nome Margerete. Ma allora come ne siamo sicuri che è la moglie?




Perché Van Eyck è stato fra i primi ad autografare le sue opere, lo vediamo anche dal famoso ritratto dei coniugi Arnolfini. Sulla cornice originale era infatti posta la scritta latina che tradotta significa: mio marito Johannes mi completò nel 1439, 17 giugno all’età di 33 anni”. Als ich can.
Il motto “als ich can” in tedesco, “come io posso”, o “al meglio che posso” era la firma che Johannes Van Eyck poneva sulle sue opere.
Quando il quadro fu dipinto Margerete aveva 33 anni, suo marito circa 49. Qualche mese dopo era già vedova.


sabato 21 agosto 2021

La fidanzata del garibaldino

È un’opera di Gerolamo Induno, meglio conosciuta con il titolo di triste presentimento.

Nella scena si vede una camera con una ragazza seduta su un letto semidisfatto, che tiene in mano qualcosa, forse una piccola immagine del fidanzato.


La ragazza è in camicia da notte, una spalla leggermente scoperta le conferisce un’aria sensuale. Gli occhi sono abbassati sull’oggetto fra le mani e il suo sguardo rivela una profonda tristezza, sembra quasi sul punto di piangere. Nella stanza, l’ aria di disordine accentua ancor più il senso di tristezza. Ci sono abiti appoggiati su una sedia davanti ad un camino che contiene un catino, per riscaldare l’acqua.





Gli stivaletti della fanciulla sono abbandonati nella stanza, sotto il letto un baule ed altri oggetti e un foglio accartocciato, quello che forse ha portato quelle notizie poco piacevoli che hanno rattristato la ragazza e scatenato il triste presentimento sulla sorte del suo amato.



Il pittore

Girolamo Induno era nato a Milano nel 1825; pittore risorgimentale, amico ed allievo di Hayez, tanto da citarlo nel quadro.

Le sue sono opere di genere, profondamente ispirate agli avvenimenti dell’epoca e alle lotte risorgimentali.

Lo sfondo

La trama di questa vicenda,  come un rebus degno delle riviste di enigmistica, è tutta raccontata nella parete dietro al letto. Qui si vede una stampa che riproduce il famoso quadro di Hayez , “il bacio” dipinto appena tre anni prima e subito diventato un successo artistico.





Sotto all’opera di Hayez, un quadretto con Pulcinella, allusione a Napoli e ai moti risorgimentali che si combatterono in quella città dove si trovava o da cui forse proveniva il fidanzato; nella nicchia si riconosce il busto di Garibaldi, quasi fosse una reliquia. 

Su un’anta della finestra è incollata una stampa e anche qui sembra di intuire la scena di uno dei moti rivoluzionari che portarono poi all unità d’ Italia. Il quadro fu dipinto nel 1862, quando Induno aveva 37 anni.

Qualcuno ha voluto leggere nell’opera una suprema laicità nell’esagerazione sul busto di Garibaldi messo nella nicchia  e nella presunta assenza di qualsiasi immagine religiosa. In realtà l’immagine religiosa c’è, come sarebbe stato in qualsiasi stanza di qualsiasi casa dell’epoca: c’è un crocifisso sopra la testata del letto.




E si intravede anche un rametto, forse di olivo benedetto e più in basso, vicino allo scurino della finestra anche una piccola acquasantiera.

Gli ideali patriottici ispiravano nei giovani di allora la speranza di un futuro migliore, forse più equo, ma mai sostitutivo dei valori religiosi a cui comunque rimanevano legati.

 


venerdì 13 agosto 2021

La Madonna dei Palafrenieri

Conosciuta anche come la "Madonna della Serpe" è opera di Caravaggio ed è conservata alla Galleria Borghese a Roma.



Venne commissionata a Caravaggio dall'Arciconfraternita dei Palafrenieri (o Parafrenieri) pontifici per abbellire l'altare che era stato loro riservato nella Nuova Basilica di San Pietro, per un prezzo relativamente basso, 70 scudi.

Siamo nell'ottobre del 1605. In dicembre venne pagato il primo acconto;  l'8 aprile dell'anno successivo Caravaggio firmò la ricevuta di consegna e quindi è ragionevole supporre che l'opera venisse consegnata il giorno stesso o anche qualcuno dopo. Già il 16 aprile alcuni facchini vennero incaricati di trasferirla nella chiesa dell'Arciconfraternita e nel mese di giugno venne concordata la vendita al Cardinale Scipione Borghese che nel mese di luglio, verserà all'Arciconfraternita il prezzo, alquanto irrisorio di 100 scudi, con un margine di 25 per i Palafrenieri. Il quadro era rimasto esposto una settimana si e no.

Il motivo che portò alla cessione del quadro a Scipione Borghese era che l'opera venne giudicata in qualche modo indecorosa. Ma perché?

Il quadro

Il dipinto raffigura la Madonna protesa a sorreggere Gesù Bambino nel gesto di schiacciare la testa al serpente-demonio. Di lato, Sant'Anna, madre di Maria (e quindi nonna di Gesù), assiste alla scena.

Era sorta una disputa sullo schiacciamento della testa del serpente: interpretando il passo della Genesi dove si dice che al serpente verrà schiacciata la testa, i cristiani leggevano nel testo latino "ipsa", cioè, lei, la Madonna. I luterani invece vi leggevano "ipse", lui, il Figlio.

In piena controriforma, intervenne una bolla papale a sistemare la faccenda: la Madonna schiaccerà la testa al serpente-demonio con l'aiuto del figlio. La scena dipinta quindi riflette pedissequamente la più aggiornata interpretazione liturgica, quindi non può essere stata questa la causa del rifiuto.



Invero c'è da dire che la Madonna ha il volto di una bella e famosa modella romana, tale Lena, forse anche amante del Caravaggio, ma di certo prostituta, mestiere associato a quello della modella. E non è sufficiente l'abito rosso, proprio dei personaggi sacri a conferirle la necessaria sacralità: la Madonna dal volto popolano si protende a reggere il bambino mostrando il seno propompente ben sottolineato dal corsetto. 



Il bambino Gesù, dal volto tra l'incapricciato e l'arrabbiato, è completamente nudo ed è piuttosto cresciutello per poter mantenere quell'innocenza infantile del bimbo nudo. Di lato, Sant'Anna, che era anche la Patrona dei Palafrenieri, assiste con lo sguardo un po' inebetito di una nonna con scarsa contezza della scena.



E' possibile che a guardarlo bene, i contemporanei non vi vedessero gran che di sacro, ma vi sono anche altre motivazioni.

Una inquietante ipotesi

Il quadro fu acquistato per un prezzo relativamente basso, da Scipione Borghese, il Cardinal Nipote come venivano chiamati allora coloro che erano investiti di alte cariche dal pontefice per i loro legami di parentela con il Papa. E Scipione, nipote lo era davvero, da parte di una sorella del Papa Paolo V. A causa delle difficoltà economiche del padre era stato adottato dallo zio che lo aveva fatto studiare e lo aveva poi investito delle più alte cariche ecclesiastiche.

Uomo intelligente, molto colto, raffinato collezionista, pare che non fosse tipo da rinunciare facilmente ad un pezzo "da collezione"; molto di ciò che oggi è alla Galleria Borghese lo si deve al suo fiuto da collezionista. 

Non si può dunque escludere che, ammirato il capolavoro, fosse lo stesso Scipione a far circolare la voce sulla mancanza di decoro del quadro affinché i Palafrenieri se ne disfacessero. A quel punto interviene il munifico collezionista a sgravare l'Arciconfraternia del peso (è il caso di dirlo visto che il quadro misura quasi 3 metri per 2) di tenere un'opera non gradita.

martedì 10 agosto 2021

La Madonna del cancelliere Rolin

 E' il titolo con il quale è conosciuto un olio su tavola di Jan Van Eyck, conservato al Louvre.



Il dipinto

L'opera ritrae il Cancelliere di Borgogna e Brabante, Nicolas Rolin, potente consigliere e Ministro delle Finanze di Filippo il Buono, Duca di Borgogna.

Il cancelliere, protagonista e committente del quadro, è ritratto inginocchiato di fronte ad una Madonna vestita con uno sfarzoso abito rosso, colore riservato ai personaggi sacri, che tiene in braccio il bambino nudo in atto di benedizione.

Un piccolo angelo sta per posare una ricca e raffinata corona sulla testa della Madonna, a sottolineare la sacralità del momento.



La scena si svolge sotto un loggiato circondato da colonne riccamente decorate; raffinati decori si ripetono anche sul pavimento e sui cornicioni. Più in basso rispetto al loggiato si intravede un giardino chiuso un hortus clausus con gigli e rose.

Sullo sfondo una strada con un parapetto merlato che affaccia su un paesaggio con un fiume attraversato da un ponte, una isoletta al centro sovrastata da una abbazia, colline con campi coltivati, abitazioni. Sul ponte e tra le vie ci sono persone che attendono ai loro affari quotidiani.

Recenti analisi radiografiche hanno rivelato alcuni pentimenti dell'artista: una grossa borsa appesa alla cintura del cancelliere è stata eliminata e lo sguardo del bambino che prima volgeva verso il basso come la Madonna, è stato modificato: ora il Bambino benedicente guarda dritto il cancelliere.


Chi era Nicolas Rolin

Rolin era consigliere dei Duchi di Borgogna e loro Ministro delle Finanze, uomo di cultura, mecenate, ebbe un ruolo di primo piano nella stipula del Trattato di Arras che pacificò la Francia con la Borgogna e nel quale Carlo VII di Francia si impegnò ad importanti concessioni territoriali a favore del Duca di Borgogna; i legami con il Ducato di Borgogna consentirono al figlio di Rolin, Jean di diventare nel 1436, vescovo di Autun, loro città natale.

Qualche critico ha infatti creduto di riconoscere alcuni particolari della città di Autun nel paesaggio sullo sfondo anche se è molto probabile che si tratti di un paesaggio di pura fantasia che attinge a caratteristiche proprie di varie città fiamminghe.

La casa di Rolin è oggi adibita a museo.

Ma i contemporanei di Rolin avevano di lui una immagine poco edificante: lo consideravano un uomo rapace ed intrigante; sotto questa luce il dipinto appare quindi una pura ostentazione. 

La ricchezza dei particolari, dal vestito dello stesso Rolin, un ricco broccato bordato di pelliccia, all'architettura, alla corona della Madonna che sembra un'opera di alta gioielleria, non fa altro che sottolineare lo status del committente.

Sullo sfondo vicino al parapetto, sotto le mani di Rolin giunte in atto devozionale, si intravedono dei pavoni, simboli di immortalità ed orgoglio, ulteriore sottolineatura della potenza del personaggio.

particolare dell'abito di Rolin

particolare dell'abito della Madonna


Il particolare nascosto

Ma c'è un particolare che fa riflettere su questa opera di propaganda messa in atto da Rolin e sono i due personaggi appoggiati al terrazzo merlato.



Hanno dei copricapo, uno scuro e l'altro rosso secondo la moda dell'epoca e stanno voltando le spalle alla scena; si disinteressano totalmente del gesto di Rolin e si perdono ad osservare quanto avviene sotto di loro sul fiume.

Non è da escludere che Van Eyck condividesse l'opinione comune sul conto di Nicolas Rolin; i pentimenti dell'artista rivelati dalle radiografie potrebbero essere se mai, richieste della committenza: non era infatti infrequente all'epoca che chi commissionava un'opera la esaminasse più volte nel corso del suo allestimento. Van Eyck quindi aderì alle richieste, ma volle comunque mantenere quella indipendenza di artista che, raffigurando i due passanti voltati e intenti ad osservare il paesaggio gli facevano inviare un lampante messaggio “caro Rolin, per quanto ricco e potente, tu per me non sei nessuno”. 

martedì 3 agosto 2021

L’orecchio tagliato

Se si digita su un qualsiasi motore di ricerca internet “orecchio tagliato”, anche senza aggiungere Vincent, uno dei primissimi risultati sarà questa immagine


Il dipinto si trova alla Courtauld Gallery ed è uno degli autoritratti che Van Gogh dipinse dopo il tragico episodio del taglio dell’orecchio. 

La tragedia

Era il 23 dicembre 1888, l’antivigilia di Natale nella "casa gialla" che i Ginoux avevano affittato ad Arles a  Van Gogh e dove si era trasferito poco più di due mesi prima, anche Paul Gauguin. Trasferimento non volontario. Paul Gauguin infatti aveva accettato di raggiungere Van Gogh dietro richiesta del fratello Theo, mercante d’arte, che si era impegnato ad acquistare alcuni quadri di Gauguin purché lui accettasse di trasferirsi nella casa gialla con Van Gogh. 

Vincent aveva già dato segni di instabilità mentale, così Theo aveva pensato che la presenza di Paul avrebbe calmato i suoi eccessi. Ma mai una coppia di artisti avrebbe potuto essere più male assortita: Paul era idealista e tendente all’astrazione, innamorato dell’esotico, detestava Arles considerata "misera",  Vincent invece era meticoloso nella sua ansia di riprodurre la realtà e la luce del posto e adorava la cittadina di Arles.

Quel 23 dicembre era una giornata piovigginosa, non si poteva uscire a dipingere, i due si trovavano quindi reclusi a scambiarsi le loro tanto diverse idee di vedere il mondo e ogni tanto attingevano alla bottiglia di assenzio, il superalcolico dell’epoca. In più quella mattina Vincent aveva ricevuto la lettera del fratello Theo che annunciava le sue nozze imminenti. E qui non fu la paura di perdere il sostegno economico di Theo che forse gli sarebbe venuto a mancare con il matrimonio, quanto la circostanza che una donna, una estranea, avrebbe potuto limitare e distanziare l'amore fraterno di Theo per Vincent.

Ce ne era abbastanza per deprimere chiunque avesse nervi ben più saldi di quelli di Van Gogh.

Scoppiò dunque una lite tra i due. Impossibile stabilire se la mutilazione dell’orecchio sia stato semplicemente un gesto autolesionista oppure un incidente non voluto causato da Paul Gauiguin che era anche un abile spadaccino. I fatti ci dicono che dopo la mutilazione,  l’orecchio fu avvolto in un pacchetto di carta di giornale e fatto recapitare ad una ragazza del posto (chi dice una prostituta, chi una paesana).  La polizia trovò Van Gogh privo di conoscenza sul suo letto, immerso in un lago di sangue e dispose il ricovero nell'ospedale di Arles.

Gauguin partì per le Antille come aveva promesso di fare. Il progetto della Casa Gialla come ritrovo di artisti controcorrente era fallito per sempre.

Il dipinto

Van Gogh dipinse diversi autoritratti. Quelli con l’orecchio bendato sono destinati non a se stesso, bensì ai medici che lo avevano in osservazione. C'era in lui il bisogno di  dimostrare di aver preso coscienza del gesto e di poter andare avanti da solo, autonomamente.

Vi sono altre versioni dell’autoritratto con l'orecchio bendato: 


In tutti i ritratti Van Gogh indossa un cappello di pelliccia e uno spesso cappotto, segnale del rigore climatico dentro la casa gialla, dove forse non aveva risorse sufficienti per pagare anche il riscaldamento.

Il ritratto custodito della Courtauld oltre ad essere il più delicato, è anche quello più interessante. Prevalgono i colori freddi. 

Sul fondo compare un cavalletto con una opera appena accennata e una stampa giapponese, che Van Gogh amava particolarmente.

L’espressione di Van Gogh è tra l’arrabbiato e il rassegnato, il volto piuttosto incavato, quasi invecchiato: vi si leggono delle rughe profonde, testimonianza anche del travaglio interiore dell'artista.

Qualche mese dopo, nel maggio del 1889 Vincent si fece ricoverare di sua spontanea volontà nella clinica per malattie mentali di Saint Remy.



.


La pernice di Brugel

 Il quadro è conosciuto con il titolo di “la caduta di Icaro”, opera di Brugel , conservato al Museo Reale di Belle arti in Belgio. Per trov...